Cito testualmente un passo di un'intervista da una rivista quindicinale a cui mi sono avventatamente abbonato:
"Su forte commitment del board, del CEO in particolare, si sta procedendo ad un technological survey per individuare le soluzioni SOA più vantaggiose in termini di ROI".Traduco.
L'amministrazione (
board) dell'azienda in oggetto ed il capo (
CEO - Chief Executive Officer) hanno intenzione (
commitment) di adottare un'architettura orientata ai servizi (
SOA -
Service Oriented Architecture - prendetela per buona che ci torno subito...), per cui si sta facendo una ricerca di mercato (
technological survey) per vedere quale sia la soluzione più vantaggiosa economicamente (
ROI -
Return Of Investment ).
Questo è in italiano quello che sopra è espresso in quello che io chiamo "
commercialese".
Il concetto alla base dell'
architettura orientata ai servizi è quello dei centri commerciali: anziché fare un unico mega-negozio, costruisco una serie di piccoli negozi ognuno specializzato nel proprio settore.
Analogamente un azienda "spezzetta" il processo produttivo aziendale in una serie di servizi che, se usati sequenzialmente, permettono la realizzazione del prodotto desiderato.
Il vantaggio è che se domani l'azienda deve realizzare un nuovo prodotto o modificare il prodotto corrente, potrà usufruire di alcuni servizi già presenti e modificare solo altri, o crearne di nuovi, senza dover re-ingegnerizzare l'intero processo produttivo.
Devo dire che non ho una conoscenza molto approfondita dell'argomento e mi rendo ben conto che la spiegazione è pedestre, ma la cosa più divertente è che la definizione di SOA non ce l'ha
NESSUNO!SOA è per un rappresentante di IBM un'infrastruttura informatica che fa uso intensivo di determinati protocolli, mentre per un manager Telecom è una tipologia di approccio all'organizzazione aziendale.
Direi che le due cose sono ben distinte tra loro, o sbaglio ?!?!?!
Il problema a mio avviso è nei vocaboli.
Ci si riempie la bocca di parole inglesi, anche e soprattutto quando esistono parole italiane che rendono perfettamente il concetto, come se il solo fatto che siano straniere le conferisse maggiore importanza.
Si finisce per usare parole che fanno scena, sorprendono il cliente sprovveduto, ma che nascondono la scarsa comprensione del concetto che si sta esprimendo. Per questo quando sento parlare in inglese o per neologismi alzo automaticamente il livello di allerta.
Non che chi lavora nel settore tecnico sia da meno.
Nel mio ufficio volano i
"sto pingando un indirizzo" (da "ping", il comando per verificare se un indirizzo IP è attivo),
"startare un'applicazione" e perfino l'indimenticato
"mi preparo a cippiare" (da "cp", il comando utilizzato per la copia di file).
Tutto ciò mi ricorda le convulsioni violente che aveva il mio professore di Reti di Calcolatori, ingegnere proveniente dal liceo classico, quando qualcuno si azzardava a parlare del suo nuovo "monitor" o a chiedergli di "scannerizzare" i lucidi della lezione.
I "
cavalli di ritorno" li chiama lui... parole di chiara origine latina che si vanno a fare un giro in Gran Bretagna e ritornano distorte... "schermo" e "scandire" erano i termini corretti!
(...
questo è un sito di linguistica che entra nel dettaglio...)
Ripeto che per me non è solo una questione di piacevolezza fonetica.
La comunicazione è un codice, dunque è necessario che tutte le parti in causa associno la stessa identica idea, con le stesse identiche sfumature di significato ad ogni vocabolo utilizzato.
Prima di iniziare una conversazione occorrerebbe sempre chiedersi, come osserva giustamente
Alessia nei commenti a
questo post sul blog di Zulin, se "tutti conoscono il vero significato delle parole".
Altrimenti meglio usare solo quelle condivise.
Quanto detto dovrebbe valere per il linguaggio tecnico, per quello commerciale, ed in definitiva anche per quello quotidiano.
"Le Parole non le portano le cicogne" spiega Vecchioni
in questo meraviglioso libro.
Concetto che io, nel mio piccolo, ho parafrasato con "
Verba Manent", cioè
"le parole restano", che è il titolo di questa specie di rubrichetta.
Se riusciamo a
riappropriarci delle Parole, allora ogni conversazione sarà come una pietanza da insaporire ed impreziosire a nostro piacimento.
Che speranza si nasconde in
"desiderio" - da "de - sidera" ovvero "dalle stelle"!!
Che finezza di significato in
"intelligenza" - da "inter - legere" ovvero "leggere attraverso, comprendere in profondità"!!
Che semplicità in
"misericordia" - da "miseri - cordes" ovvero "pietà, umiltà del cuore"!!
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