Questa è il peso del sonno sugli occhi dopo essersi svegliati all'alba ed aver guidato per tre ore e mezza, mentre ti disponi sulla linea di partenza, con la prospettiva di un ritorno altrettanto accidentato.
E' il sapore di terriccio che lascia in bocca l'acqua di lago ed il conato di vomito che provoca l'averne bevuta a secchiate.
E' la radicata convinzione di abbandonare la gara proprio lì, metri nuotati 2490, rimanenti 10, che ne valgono però altri 2490.
E' la meravigliosa incoscienza che ti porta a completare in un modo o nell'altro quei 10 metri, che alla fine erano solo 10.
E' il sentirsi comunque ed in ogni condizione acqua nell'acqua.
E' il sollievo che deriva dall'immergere la testa le sere in cui i pensieri la mandano in incandescenza.
E' la fatica che punge nei muscoli, ma anche la volontà di proseguire.
E' il nervoso che sale quando credi che manchino pochi minuti alla fine del lavoro, mentre il cronometro rivela che non sei ancora giunto a metà.
E' la faccia di ciascuno dei miei compagni durante l'allenamento, perchè il nuoto resta il più "di squadra" tra gli sport individuali.
E' il gesto ripetuto ogni sera di rannicchiarsi sott'acqua in posizione fetale ed attendere la calma, fino a dimenticarsi di respirare.
Ora la ripongo vicino alle altre, ed anche stasera le lancerò uno sguardo prima di dormire...
Perchè questa sta tra le medaglie, ma non è una medaglia.