Vabbè Marì, io ti guardo negli occhi ma tu stammi a sentire un minuto senza urlare.
E' vero, sono stato io ad appicciare il giardino di poverozio.
Ma erano le cinque e mezzo di sera e non c'era un filo di vento, non poteva succedere niente a nessuno.
E poi ho fatto pure la chiamata anonima ai pompieri, hanno spento tutto in un paio d'ore...
Anzi, sono rimasti in piedi pure un paio di aranci e limoni.
Ma non dovrebbero darci fastidio, lo spazio per farci uscire tre stanze dovremmo tenerlo.
No, Marì, invece io uso proprio il plurale.
Sei tu che dicevi che senza una casa non ci potevamo sposare.
Ma che ti pensavi che lo davano a noi il mutuo?
Al ragazzo dell'elettrauto pagato a nero e alla commessa part-time?
Ma che credevi?
Che il direttore della banca stava fuori alla porta ad aspettarci?
E poi, Marì... io da Sant'Antonio me ne voglio andare.
Non voglio passare il resto dei miei sabato sera a mangiare pizze e panuozzi in ristoranti pieni di camerieri sudati e bambini che urlano.
Io voglio di più, voglio uscire la sera d'estate in mezzo alla gente con le scarpe da barca e i vestiti di lino.
E pure tu, Marì.
Anche se mo' mi guardi risentita.
Io si e no lo conoscevo a poverozio.
Mi ricordo solo che al giardino sopra Positano ci teneva assai.
Però l'eredità è stato un terno al lotto, Marì.
Non possiamo sputarci sopra.
Poi se vuoi denunciarmi fai pure.
Però ricordati bene quello che ti dico:
Qua la vita è di chi se la piglia.
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