20 novembre 2009

[PIF] Non è mio

Quando si conclude la giornata e tutti sono già andati via, abbandona il bastone che usa per sostegno, si lascia andare sulla sua poltrona e contempla.
Rimira gli uffici enormi, pesantemente arredati, le statue in gesso all'ingresso ed il gioco d'acqua che ha fatto installare davanti alla sua stanza.
Con la mano irrequieta liscia le finiture, carezza le maniglie, cerca gli spigoli cromati delle sedie.
Inala profondo, come certi mammiferi che devono imparare l'odore del figlio per poterlo riconoscere.
Come un figlio per lui è quello spazio, e la sua discendenza è - più che altrove - in quell'immagine sfarzosa ed opulenta della sua azienda.

Tutto ha voluto curare - da solo - fin nei minimi dettagli: ha previsto la disposizione delle scrivanie, il dislocamento dei dipendenti, perfino l'orientamento delle mattonelle sul pavimento.
Ha spazzato via non solo chiunque si sia opposto, ma anche chi sia parso non del tutto convinto della necessità di quegli investimenti enormi.
Adesso, a lavoro concluso, affonda i sensi malandati nella sua creatura.

Perchè, prima di tutto, quel posto è un esercizio sensoriale, un orgasmo completo che - per quel giorno ancora - serra le difese della Vita contro gli avamposti della feroce Malattia che si porta dentro.

Così, per pochi minuti al giorno, non c'è più la montagna di debiti su cui quel gioco si regge, scompaiono i creditori e gli ufficiali giudiziari sempre alla porta, sbiadiscono i volti dei dipendenti vessati e disperati.
Esiste solo la violenta simbiosi tra lui e ciò che non è suo.


"Non è mio".
Pensiero resistente come un'incrostazione, sfacciatamente tenace.
Gliel'avrà impiantato la Malattia in qualche recondito anfratto del corpo, per renderne più difficile la rimozione.
L'ha covato involontariamente mentre il suo progetto prendeva forma, finchè ora - ad opera completata - gli è esploso dentro con inaspettata potenza.
"Non è mio" non è capriccio di bambino, è casomai anticipo di una dichiarazione di resa.


Adesso estrae un mazzo di tarocchi, camuffato in un tiretto tra le varie scartoffie.
Glielo regalò la sorella, quando ancora si rivolgevano la parola.
Mescola, alza e tira tre carte.

"Asso di Denari", "La Ruota della Fortuna", "La Morte".

Le osserva.
Sulla faccia scavata, da destra a sinistra, lo attraversa un'ombra di sorriso.
Rimette le carte nel mazzo e, testardo, mescola daccapo.

2 commenti:

  1. Dico - e ci tengo a dirlo qui, sul mio blog - che se questo post suona come una "reprimenda", allora ho sbagliato clamorosamente il tono.

    E' invece il tentativo di chi ha ancora la vista annebbiata di scorgere qualcosa che giustifichi il periodo vissuto, ancora troppo avvolto nell'irrazionalità.

    Chi è nuovo di queste pagine sappia che le scrivo per sfogo, per necessità di alleggerirmi di un carico, per sforzo di superamento.
    Nessun altro intento che questo.

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  2. Caro Depa....no...di certo non hai sbagliato tono. Anzi se si potesse leggere ad occhi chiusi l'immagine scaturita sarebbe più che nitida.
    Dal mio canto, quello che è accaduto, quel "periodo ancora troppo avvolto nell'irrazionalità "ha avuto in me conseguenze che non riesco a non associare ad una rabbia ed un rancore che nulla, neanche il più tragico degli eventi, riesce a sedare. Io credo che il carnefice si sia servito di boia compiacenti, di ignavi nascosti e di "servi di Dio" girati dall'altra parte per fare ciò che ha fatto. Ed ora che tutti, me compreso, si riferiscono a lui solo per valutare i danni e le crepe che profonde ha causato il sisma...ora gli avvoltoi volano bassi e minacciosi...e gli sciacalli fanno ulteriore scempio di ciò che rimane. Cmq....molto bella anche la prosa.

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