Mi è piaciuto molto l'approccio del film, la volontà di fotografare spaccati della Realtà - perché, ahimè, quella che si vede nel film è una porzione di Realtà - senza nessun intento di catechizzazione alla legalità.
Per vedere Il Divo c'ho messo un po' di più, ma alla fine sabato sera ce l'ho fatta.
Nella mia modesta opinione un gran film, ma mi sembra superfluo e quasi irriverente dirlo, dopo i premi e le recensioni lusinghiere ricevute.
Se è vero che le movenze, i dialoghi e le stesse sfaccettature caratteriali dei personaggi sono per molti aspetti fortemente romanzate, d'altra parte emergono con verosimiglianza sconvolgente una serie di processi decisionali, di equilibri e giochi di potere mai chiariti agli occhi dell'opinione pubblica.
Ne viene così fuori un Andreotti glaciale ed enigmatico, supremamente machiavellico nel non farsi alcuno scrupolo a ricorrere ad ogni mezzo pur di conseguire il fine proposto.
In questo senso è esemplare la scena in cui il Divo ripercorre mentalmente tutte le morti violente che hanno attraversato i suoi anni al potere, da Pecorelli fino a Falcone, e recita:
La Verità no; è la fine del mondo.
E noi non possiamo consentire la fine del mondo per una cosa giusta.
Abbiamo un mandato divino.
Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il Male per avere il Bene.
Questo Dio lo sa. E lo so anch'io.
E noi non possiamo consentire la fine del mondo per una cosa giusta.
Abbiamo un mandato divino.
Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il Male per avere il Bene.
Questo Dio lo sa. E lo so anch'io.
Questa riflessione è stata ripresa in un intervento molto interessante di Claudio Martelli in questa puntata di AnnoZero - interamente dedicata al film di Sorrentino - in cui l'ex Ministro di Grazia e Giustizia si chiede se sia inevitabile per chi esercita il Potere venire a contatto con le parti più losche della Società ed in che misura ne sia sindacabile l'atteggiamento, quando molte delle ragioni plausibili sono coperte da Segreto di Stato...
A riascoltare l'intervento oggi, nel bel mezzo dell'iter del Lodo Schifani e delle leggi sulle intercettazioni, mi sembrano domande sensate, prioritarie e tuttavia assolutamente ignorate dal dibattito politico.
Ma in realtà il tormento interiore dell'Andreotti di Sorrentino prescinde dalla dimensione strettamente politica: si tratta, a più ampio raggio, della difficoltà di riconoscere e perseguire il Bene in scenari sociali complessi come quelli proposti dalle moderne società occidentali.
Come sottolineava Castellitto, in veste di giurato del Festival di Cannes, questo aspetto, benché affrontato a livelli sociali differenti, è comune ad entrambi i film italiani presentati al Festival e ne evidenzia una certa complementarità.
E cosa può chiedere di più al cinema italiano uno che chiama il suo blog "Quid est Veritas?"
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