Alle due di notte a via Argine non ci sono più neanche le puttane: restano - soli come segnaposto del monopoli - copertoni mezzo attizzati dai quali esala una sottile ma densa scia di fumo.
I lampioni arancioni a quest'ora servono soltanto a illuminare le zoccole enormi che si tuffano nelle cataste di monnezza ai lati della strada. Alle macchine che raramente passano, puntandogli addosso i fari allo xeon, i ratti rispondono con sguardi feroci, rimanendo eretti sulle zampe di dietro, per chiarire a chi appartiene quella monnezza, quella strada, quella misera frazione di universo.
Totò cammina a passo svelto nella luce arancione, con gli occhi rossi che reclamano il sonno bruscamente interrotto.
Nonostante non si sia ancora abituato ai nuovi orari, è felice di alzarsi a quell'ora, di aprire la serranda provando a non fare rumore, di aspettare il padrone del forno preparando l'impasto, di sentire che l'aria, con il fare del giorno, si profuma di pane.
In direzione opposta a Totò viene Yassin.
Torna da Sant'Anastasia, dalla festa della Madonna, spingendo un carrozzino che deborda di calzini, mutande e maglie della salute.
Yassin guarda la buffa ombra di quell'accrocco gonfiarsi e ritirarsi nel passare dal cono di luce di un lampione all'altro, con un espressione che su di un altro volto sarebbe neutra, ma sulla sua faccia da figliodizoccola pare quasi un sorriso.
Yassin scorge Totò da lontano.
Non è difficile, sono gli unici su quel pezzo di strada.
Inspira ed espira più a fondo mentre involontariamente ripensa alla notte in cui aggredirono suo cugino Samir, lì vicino, lasciandolo in fin di vita sul marciapiede.
Lo rivede con il volto sfigurato e col corpo tumefatto, mentre prova a scappare dal pronto soccorso per evitare il rimpatrio.
Allora infila una mano in tasca, cercando come un rosario il coltello a serramanico che da quel giorno porta sempre con se.
"Tranquillo, non servirà", si ripete.
Nonostante il sonno, pure Totò vede Yassin.
E nota pure il gesto brusco di staccare la mano dal carrozzino e portarla in tasca.
Di riflesso pensa ai cinquanta euro che stringe nel pugno, caparra per l'acquisto di medicinali alla mamma il giorno seguente.
Tira su la zip del giubbotto, afferra il cappello dalla visiera calcandoselo in testa ed aumenta il passo.
Distano ormai pochi metri.
Si incroceranno sotto il cavalcavia, al buio.
Se l'altro ha cattive intenzioni, rallentare o cambiare lato della strada adesso vuol dire tirarselo addosso.
Yassin si sposta verso il bordo del marciapiede e accellera, una mano sul carrozzino e l'altra in tasca a rigirarsi il coltello.
Totò si tiene all'interno tanto quanto i cumuli di monnezza gli consentono.
Sotto il cavalcavia c'è una vecchia lavatrice, così Totò fa per rientrare.
E, proprio sotto il cavalcavia, il bordo del marciapiede è sbeccato: il carrozzino sussulta, sfugge al controllo di Yassin e si mette di traverso.
Mentre Totò prova a pensare al da farsi, si accorge di flettere le gambe, di piegarsi in avanti, di spingere con tutta la sua forza, di volare a testa bassa verso il volto di Yassin.
Yassin registra prima la sorpresa per quella reazione, poi la potenza del colpo ricevuto e infine il dolore del setto nasale spezzato.
Nel cadere all'indietro vede il logo degli Yankees sul cappello di Totò imbrattato del suo sangue.
Intanto il coltello gli si apre, salta fuori dalla tasca e, guidato dal suo braccio teso, disegna in un lampo argentato un semicerchio che si conclude proprio in corrispondenza della giugulare di Totò.
L'ultima cosa che Yassin vede prima di impattare violentemente il suolo e svenire è il fiotto di sangue che zampilla dal collo di Totò, la bestemmia che gli si dipinge sulla bocca senza avere il tempo di proferirla, il suo afflosciarsi al suolo come un palloncino bucato.
Ecco fatto.
già... ecco fatto!!!!!!!!!!!!
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