Apprendo che il Ministro degli Esteri della Repubblica Italiana giustifica l'impiego di truppe in Afghanistan per la lotta alla corruzione e al narcotraffico.
In Afghanistan!?!?!?
Le Vele, Scampia: scempio paesaggistico e capitale mediterranea del narcotraffico
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23 settembre 2009
17 settembre 2009
[WV] Tramonto ai Maronti
Da Come la vedo io |
... ecco, per chi ha letto gli ultimi post, quando parlavo di tramonto ai Maronti intendevo esattamente questo.
12 settembre 2009
[PIF] Il conto (3/3)
La settimana successiva, approfittando della mezza giornata di riposo ed esercitando delicate pressioni, George l'aveva convinta a fare il giro dell'isola.
Si era fatto prestare per l'occasione il vespino di un collega in servizio e l'aveva portata sul Monte Epomeo, con la scusa di sfuggire alla calura, per ubriacarla di mare ed orizzonte.
Poi si erano tuffati a perdifiato verso i Maronti, per raccogliere l'ultimo raggio di sole depositato sulla spiaggia.
Avevano fatto il bagno di notte, vestiti, avvolti di luna e di stelle, e poi l'amore in spiaggia, spontaneamente, senza timore di essere visti. Ed ancora, di nuovo, per il resto della notte, in albergo.
Al risveglio Margherita - questo il nome di lei - non trovò George al suo fianco.
Naturalmente lui era già in servizio.
Le aveva lasciato la colazione in camera, un tulipano sulle lenzuola ed accanto la scritta "Un fiore per Margherita" sul retro di uno scontrino stropicciato.
Per la prima volta le si accese in mente la parola "tradimento".
Come se fino a quel momento avesse rimosso di essere sposata.
Ed insieme a quel pensiero, il terribile dubbio di avere perpetrato piuttosto tradimento a se stessa nei precedenti anni di matrimonio.
Margherita ci mise un po', assorta com'era nelle sue considerazioni, a sentire il cellulare che squillava.
Accettò meccanicamente la conversazione e subito le parve di riconoscere dall'altro capo l'odore freddo e viziato di aria condizionata.
La investì la voce squillante del marito, Ministro della Repubblica, che esclamava esultante:
"Margherita, ce l'abbiamo fatta!
Li mandiamo tutti a casa: neri, gialli e marrò.
Motivi di sicurezza, di igiene, di salute, di ordine pubblico.
Abbiamo appena concluso la votazione al Senato e quindi da domani sono in ferie.
Ci vediamo lì domattina".
Seguì il tono fastidioso di fine conversazione.
Lei restò immobile un minuto, o forse un'ora.
Infine si avvolse nel lenzuolo e andò sul terrazzino della suite.
Accese una sigaretta, tirò le prime due boccate e poi, con la grazia di chi spicca il volo, si lanciò nel vuoto.
Si era fatto prestare per l'occasione il vespino di un collega in servizio e l'aveva portata sul Monte Epomeo, con la scusa di sfuggire alla calura, per ubriacarla di mare ed orizzonte.
Poi si erano tuffati a perdifiato verso i Maronti, per raccogliere l'ultimo raggio di sole depositato sulla spiaggia.
Avevano fatto il bagno di notte, vestiti, avvolti di luna e di stelle, e poi l'amore in spiaggia, spontaneamente, senza timore di essere visti. Ed ancora, di nuovo, per il resto della notte, in albergo.
Al risveglio Margherita - questo il nome di lei - non trovò George al suo fianco.
Naturalmente lui era già in servizio.
Le aveva lasciato la colazione in camera, un tulipano sulle lenzuola ed accanto la scritta "Un fiore per Margherita" sul retro di uno scontrino stropicciato.
Per la prima volta le si accese in mente la parola "tradimento".
Come se fino a quel momento avesse rimosso di essere sposata.
Ed insieme a quel pensiero, il terribile dubbio di avere perpetrato piuttosto tradimento a se stessa nei precedenti anni di matrimonio.
Margherita ci mise un po', assorta com'era nelle sue considerazioni, a sentire il cellulare che squillava.
Accettò meccanicamente la conversazione e subito le parve di riconoscere dall'altro capo l'odore freddo e viziato di aria condizionata.
La investì la voce squillante del marito, Ministro della Repubblica, che esclamava esultante:
"Margherita, ce l'abbiamo fatta!
Li mandiamo tutti a casa: neri, gialli e marrò.
Motivi di sicurezza, di igiene, di salute, di ordine pubblico.
Abbiamo appena concluso la votazione al Senato e quindi da domani sono in ferie.
Ci vediamo lì domattina".
Seguì il tono fastidioso di fine conversazione.
Lei restò immobile un minuto, o forse un'ora.
Infine si avvolse nel lenzuolo e andò sul terrazzino della suite.
Accese una sigaretta, tirò le prime due boccate e poi, con la grazia di chi spicca il volo, si lanciò nel vuoto.
8 settembre 2009
[PIF] Il conto (2/3)
George si imbarcò in una tersa giornata di ottobre, risalì l'Italia con viaggio di gran lusso rispetto a quelli a cui si era sottoposto prima di allora, e finì a Napoli, dove intanto pummarole non se ne raccoglievano più, ma in compenso si vendevano ancora cd falsi e borse LuìUitton.
Fu tra una retata al porto ed una notte a Gianturco che gli si accostò un distinto signore, senza guardie del corpo ma per scherzo del destino anch'egli in ampia camicia di lino.
C'era da far "spuntare" una piscina in un Grand Hotel a Ischia.
C'era da farlo a febbraio, il mese più corto dell'anno ma anche quello in cui l'isola è vuota.
Nessuna noia dalle forze dell'ordine, già si era tutti d'accordo.
28 giorni, lavoro finito, nessuna paga ma vitto e alloggio a cinque stelle: prendere o lasciare.
George prese.
La piscina fu completata il 25 febbraio.
Lui dormì tutta la giornata e quella seguente.
Quando finalmente si svegliò cacciò in fretta le poche cose nel borsone -lo stesso di sempre- ed andò via.
La segretaria lo raggiunse distrutta al molo.
Era scalza, con le scarpe in mano e colava trucco.
Nell'altra mano aveva una busta con un po' di soldi, premio spontaneo da parte del proprietario.
Appena le passò il fiatone, gli chiese di entrare a far parte del personale come inserviente.
"Naturalmente a nero" - si affrettò a precisare.
George scoppiò a ridere.
Così era finito lì, sulla soglia dell'albergo in quel 25 luglio, 34 gradi all'ombra, tasso di umidità 90%.
Era tutto impegnato a caricare le innumerevoli valigie di una rotonda signora americana quando la vide arrivare dalla strada principale.
Staccava netta dalle altre figure, pareva che nemmeno toccasse il suolo, che volasse, in quel turbinio di ricami e merletti bianchi.
Per tutto il percorso George non le tolse gli occhi di dosso, pur continuando il suo ufficio.
Quando lei giunse all'ingresso dell'albergo, gli infilò uno sguardo tra gli occhialoni da diva e l'ampia falda del cappello.
Lui per risposta le accese un sorriso sulla sua faccia nera che brillava come luminaria di festa di paese.
La marca degli occhiali era Louis Vuitton, come George non aveva mai visto scritto.
Fu tra una retata al porto ed una notte a Gianturco che gli si accostò un distinto signore, senza guardie del corpo ma per scherzo del destino anch'egli in ampia camicia di lino.
C'era da far "spuntare" una piscina in un Grand Hotel a Ischia.
C'era da farlo a febbraio, il mese più corto dell'anno ma anche quello in cui l'isola è vuota.
Nessuna noia dalle forze dell'ordine, già si era tutti d'accordo.
28 giorni, lavoro finito, nessuna paga ma vitto e alloggio a cinque stelle: prendere o lasciare.
George prese.
La piscina fu completata il 25 febbraio.
Lui dormì tutta la giornata e quella seguente.
Quando finalmente si svegliò cacciò in fretta le poche cose nel borsone -lo stesso di sempre- ed andò via.
La segretaria lo raggiunse distrutta al molo.
Era scalza, con le scarpe in mano e colava trucco.
Nell'altra mano aveva una busta con un po' di soldi, premio spontaneo da parte del proprietario.
Appena le passò il fiatone, gli chiese di entrare a far parte del personale come inserviente.
"Naturalmente a nero" - si affrettò a precisare.
George scoppiò a ridere.
Così era finito lì, sulla soglia dell'albergo in quel 25 luglio, 34 gradi all'ombra, tasso di umidità 90%.
Era tutto impegnato a caricare le innumerevoli valigie di una rotonda signora americana quando la vide arrivare dalla strada principale.
Staccava netta dalle altre figure, pareva che nemmeno toccasse il suolo, che volasse, in quel turbinio di ricami e merletti bianchi.
Per tutto il percorso George non le tolse gli occhi di dosso, pur continuando il suo ufficio.
Quando lei giunse all'ingresso dell'albergo, gli infilò uno sguardo tra gli occhialoni da diva e l'ampia falda del cappello.
Lui per risposta le accese un sorriso sulla sua faccia nera che brillava come luminaria di festa di paese.
La marca degli occhiali era Louis Vuitton, come George non aveva mai visto scritto.
P.S. Grazie ad entrambi!!
6 settembre 2009
[PIF] Il conto (1/3)
Ad un metro dall'ombra di palme e finte felci, impeccabile nella sua livrea, George sfidava il caldo soffocante di quella afosa estate ischitana.
Impresa disperata per ogni altro inserviente del Grand Hotel, ma non per lui, abituato per nascita al sole equatoriale.
Anni prima aveva visto arrivare al suo villaggio uomini bianchi in ampie camicie di lino scortati da guardie governative: non aveva avuto esitazione.
Era un presagio peggiore del volo dell'avvoltoio o della risata sinistra della iena.
Sarebbero seguiti a breve carotaggi, trivellazioni, pozzi di estrazione, avvelenamento dell'aria per i fumi prodotti e delle acque per gli scarti di lavorazione.
Quel giorno George non disse una parola, soltanto entrò nella capanna deserta, raccolse le sue cose nel borsone, rubò i pochi soldi ai fratelli e si incamminò lungo l'unica via.
Quando arrivò in fondo al villaggio, sua madre era già lì ad aspettarlo:
"Stai scappando?" - chiese dimessa.
"Vedi altra scelta?"
"Dove andrai?"
"Deciderò strada facendo."
"Se ci trattano così nella nostra terra, credi che ti daranno asilo nella loro?"
"Non vado a chiedergli asilo.
Vado a presentargli il conto."
Da allora un'odissea di un anno, deserti attraversati in corriera, mestieri arrangiati per mangiare, tante nazioni, pochissima acqua, nessuna voglia di tornare indietro.
A Monastir, vendendo anche l'inglese minimo che aveva appreso da piccolo all'opera missionaria, si era reinventato guida turistica.
Ci guadagnava da vivere ed anche un po' di più, al punto che qualche sera aveva perfino pensato di stabilirsi lì.
Ma ogni volta, attendendo il giorno dopo i turisti davanti al loro albergo, gli era tornata in mente la sua terra straziata e le parole di commiato a sua madre: aveva ancora un conto da presentare.
Impresa disperata per ogni altro inserviente del Grand Hotel, ma non per lui, abituato per nascita al sole equatoriale.
Anni prima aveva visto arrivare al suo villaggio uomini bianchi in ampie camicie di lino scortati da guardie governative: non aveva avuto esitazione.
Era un presagio peggiore del volo dell'avvoltoio o della risata sinistra della iena.
Sarebbero seguiti a breve carotaggi, trivellazioni, pozzi di estrazione, avvelenamento dell'aria per i fumi prodotti e delle acque per gli scarti di lavorazione.
Quel giorno George non disse una parola, soltanto entrò nella capanna deserta, raccolse le sue cose nel borsone, rubò i pochi soldi ai fratelli e si incamminò lungo l'unica via.
Quando arrivò in fondo al villaggio, sua madre era già lì ad aspettarlo:
"Stai scappando?" - chiese dimessa.
"Vedi altra scelta?"
"Dove andrai?"
"Deciderò strada facendo."
"Se ci trattano così nella nostra terra, credi che ti daranno asilo nella loro?"
"Non vado a chiedergli asilo.
Vado a presentargli il conto."
Da allora un'odissea di un anno, deserti attraversati in corriera, mestieri arrangiati per mangiare, tante nazioni, pochissima acqua, nessuna voglia di tornare indietro.
A Monastir, vendendo anche l'inglese minimo che aveva appreso da piccolo all'opera missionaria, si era reinventato guida turistica.
Ci guadagnava da vivere ed anche un po' di più, al punto che qualche sera aveva perfino pensato di stabilirsi lì.
Ma ogni volta, attendendo il giorno dopo i turisti davanti al loro albergo, gli era tornata in mente la sua terra straziata e le parole di commiato a sua madre: aveva ancora un conto da presentare.
Le chiamo "parole in fila", chè "racconto" trasuda saccenza.
La storia si compone di tre parti,
ma prima vorrei sapere se vale la pena andare avanti
o piuttosto trovare altro da fare.
La storia si compone di tre parti,
ma prima vorrei sapere se vale la pena andare avanti
o piuttosto trovare altro da fare.
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