"Se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?" (Lc 16,11)
Questa frase mi rimbalza in testa da domenica scorsa.
Di che ricchezza si parla? Chi può "darmi la MIA ricchezza"?
Nessuna certezza, solo idee... e quella più verosimile è questa : la ricchezza di cui si parla è la Grazia.
Se non sappiamo amministrare la Grazia altrui, che viene cioè da Dio, allora a nostra volta non avremo la grazia, nostra ricchezza.
Beninteso, mi rendo conto di quanto suoni forte cio che ho appena detto: in che modo, infatti, possiamo mai NOI farci amministratori della Grazia di Dio ?
Sotto questo interrogativo si nasconde un profondo fraintendimento del termine "amministrare", che è alla radice di molti mali della società moderna.
"Amministratore" deriva da "ad ministrum", ovvero "ministro, servo preposto ad una specifica mansione".
Non mancheranno in futuro occasioni per interrogarsi sulla natura del Potere e sulla sua essenza di servizio; per il momento però ci basti questo, ovvero la consapevolezza di doverci fare servi, ministri, "amministratori" appunto, della grazia di Dio.
Ma questa consapevolezza non basta... un bravo amministratore delle cose di questo mondo fonda il suo operato sulle leggi fondamentali dell'economia, intesa come scienza che studia la gestione dei beni.
Allo stesso modo un "Amministratore della Grazia" dovrebbe cimentarsi nello studio approfondito della scienza che studia l'amministrazione del Bene, che chiameremo Economia.
Su che leggi si fonda dunque l'Economia?
Proviamo a scoprirlo tracciando un parallelismo tra Economia ed economia.
Un noto fondamento dell'economia di questo mondo stabilisce che il prezzo di un bene stabilisca l'equilibrio tra la domanda e l'offerta.
Qual'è l'analogo di questo principio nell' Economia del Bene?
Innanzitutto occorre considerare che l'offerta del Bene deve necessariamente sovrabbondare la richiesta. Questo ci è ricordato costantemente nei Vangeli, fino al precetto più alto:
"Ama il prossimo tuo come te stesso" (Mt 19,16-19)
Ma se dunque l'offerta del Bene è sovrabbondante, allora non esisterà un giusto prezzo da fissare... il Bene è semplicemente GRATUITO.
Allora, scusatemi, ma io Amministratore del Bene sono disorientato: devo amministrare il Bene per conto di Dio, ma lo devo offrire in misura sovrabbondante, azzerando così ogni aspettativa di profitto... mi aspetterei, invece, che esistesse almeno una forma di "investimento", per così dire, qualcosa che faccia fruttificare il Bene che io offro.
Occorerebbe ad esempio un Bene rifugio, come l'oro o il mattone nei mercati di questo mondo.
Ecco che farebbe qualche nostro amministratore disonesto, a suo modo pari di quello descritto in parabola... userebbe i suoi averi per costuire una casetta di notte, di nascosto ed attenderebbe il primo condono per far fruttificare il suo investimento.
Anche nell'Economia del Bene esiste un Bene rifugio: il Perdono.
Il Perdono è Bene rifugio perchè fa girare l'Economia, perchè il mio piccolo Perdono di oggi innesca un circolo virtuoso, un Perdono a cascata, un fiume di Perdono che si ingrandisce di persona in persona, un fiume in cui si versa poco e da cui si attinge molto... ecco il Bene Rifugio!
Così si passa dal condono al Perdono.
E da questi poi al Dono.
Perchè una volta acquisiti i Beni Rifugio, fatti fruttificare i nostri investimenti, allora raggiungeremo il più grande dei profitti, che però, come dicevamo prima è anche la più grande delle gratuità: il Dono, appunto.
Ed in questo possiamo solo imparare da un Maestro mirabile:
“Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13)
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25 settembre 2007
19 settembre 2007
[QEV] - Dell'età della sapienza
In questo periodo la scena politica italiana è dominata da un solo tema: il rinnovamento della classe dirigente.
I politici assemblano nuovi partiti, commissionano nuovi simboli, rispolverano vecchi ideali, riciclano candidati, si accusano e si auto-assolvono.
I cittadini si infervorano, si riuniscono, fanno fronte comune con i pochi strumenti a loro disposizione: l'ironia, la rabbia, la coesione.
Sembra che la panacea ad ogni male sia sostituire le facce vecchie (incluse quelle vecchie con lifting) con facce nuove, certi - chissà su quale base - che le facce nuove si comporteranno in maniera differente dalle facce vecchie.
Ben lungi dal voler entrare nel merito politico della discussione in questa sede, mi lascio interrogare da un altro aspetto di questo ragionamento: qual'è l'età della Sapienza?
Perché la mia educazione mi porta ad associare la Sapienza ad anziani canuti, a druidi ottuagenari.
Eppure da quanto detto sin qui si intuisce di un processo in atto di rivalutazione della "mezza età", dei quarantenni e cinquantenni rampanti, nuovi punti di riferimento delle scene non solo politiche, ma anche scientifiche e culturali internazionali.
In una società che aborrisce la morte e rifiuta l'invecchiamento, la regressione dell'età della Sapienza è consequenziale.
In questo contesto mi sovviene l'omelia teologicamente impeccabile e ricchissima di spunti di riflessione che questa domenica ha tenuto un mio caro amico d'infanzia, oggi "appena" ventisettenne, freschissimo di ordinazione sacerdotale e capace di catalizzare l'attenzione di una folla eterogenea per età ed estrazione sociale.
Immedesimandomi in lui immaginavo, durante il sermone, quanto dovesse essere difficile discutere di come il Vangelo del giorno potesse coniugarsi in maniera perfetta con esperienze di vita vissute solo marginalmente o non vissute affatto.
L'Esperienza ha un ruolo rilevante nella Sapienza, purché resti una via verso la Sapienza, e non diventi essa stessa Sapienza.
Gesu stesso insegnava nel tempio a soli 12 anni (Lc 2, 42 - 51).
Come a dire: non esiste età per la Sapienza; esiste nelle persone una predisposizione alla Sapienza che si manifesta differentemente da persona a persone nelle varie età.
E' compito di ciascuno di noi coltivare questa predisposizione ad ogni età ed in ogni condizione, e condividerla nell'interesse comune.
...e adesso si provi a spiegarlo ai politici...
I politici assemblano nuovi partiti, commissionano nuovi simboli, rispolverano vecchi ideali, riciclano candidati, si accusano e si auto-assolvono.
I cittadini si infervorano, si riuniscono, fanno fronte comune con i pochi strumenti a loro disposizione: l'ironia, la rabbia, la coesione.
Sembra che la panacea ad ogni male sia sostituire le facce vecchie (incluse quelle vecchie con lifting) con facce nuove, certi - chissà su quale base - che le facce nuove si comporteranno in maniera differente dalle facce vecchie.
Ben lungi dal voler entrare nel merito politico della discussione in questa sede, mi lascio interrogare da un altro aspetto di questo ragionamento: qual'è l'età della Sapienza?
Perché la mia educazione mi porta ad associare la Sapienza ad anziani canuti, a druidi ottuagenari.
Eppure da quanto detto sin qui si intuisce di un processo in atto di rivalutazione della "mezza età", dei quarantenni e cinquantenni rampanti, nuovi punti di riferimento delle scene non solo politiche, ma anche scientifiche e culturali internazionali.
In una società che aborrisce la morte e rifiuta l'invecchiamento, la regressione dell'età della Sapienza è consequenziale.
In questo contesto mi sovviene l'omelia teologicamente impeccabile e ricchissima di spunti di riflessione che questa domenica ha tenuto un mio caro amico d'infanzia, oggi "appena" ventisettenne, freschissimo di ordinazione sacerdotale e capace di catalizzare l'attenzione di una folla eterogenea per età ed estrazione sociale.
Immedesimandomi in lui immaginavo, durante il sermone, quanto dovesse essere difficile discutere di come il Vangelo del giorno potesse coniugarsi in maniera perfetta con esperienze di vita vissute solo marginalmente o non vissute affatto.
L'Esperienza ha un ruolo rilevante nella Sapienza, purché resti una via verso la Sapienza, e non diventi essa stessa Sapienza.
Gesu stesso insegnava nel tempio a soli 12 anni (Lc 2, 42 - 51).
Come a dire: non esiste età per la Sapienza; esiste nelle persone una predisposizione alla Sapienza che si manifesta differentemente da persona a persone nelle varie età.
E' compito di ciascuno di noi coltivare questa predisposizione ad ogni età ed in ogni condizione, e condividerla nell'interesse comune.
...e adesso si provi a spiegarlo ai politici...
14 settembre 2007
[QEV] = "Quid est Veritas?"
"Quid est Veritas?" (Gv 18,37)
ovvero "Cos'è la Verità"?
E' la domanda che Pilato pone a Gesù Cristo durante il suo interrogatorio.
E Cristo non risponde.
Non credo ci siano nei Vangeli altre domande a cui Gesù non da risposta, Lui che è il Maestro, il punto di riferimento sapienziale dei suoi discepoli.
Innumerevoli le dissertazioni teologiche in materia... lascio qui, come un appunto, l'idea che mi sono fatto nel mio piccolo.
Nel libro "Guida galattica per autostoppisti" una civiltà marziana evolutissima costruisce un megacomputer capace di calcolare la risposta alla "domanda definitiva sul senso della vita, dell'universo e tutto quanto"; Pensiero Profondo - il megacomputer in questione - risponde così alla scienziata che lo interroga per ottenere la risposta definitiva:
Pensiero profondo: La risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto è... 42. Sì, ci ho pensato attentamente è questa, 42. Certo sarebbe stato più semplice se avessi conosciuto la domanda.
Scienziata: Ma era LA domanda, la domanda fondamentale di tutto quanto!
Pensiero profondo: Questa non è una domanda! Solo quando conoscerete la domanda comprenderete la risposta.
Scienziata: E dacci la domanda fondamentale.
Pensiero profondo: Non posso, ma c'è qualcuno che può, un computer che calcolerà la domanda fondamentale.
Perché questo originale accostamento tra letteratura fantascientifica e la Parola?
Perché allo stesso modo della civiltà marziana, Pilato formula una domanda apparentemente semplice, definita ed a suo modo immediata: eppure a quella domanda nessuno può dare una risposta risolutiva (se non 42 ;-)).
Nessuno se non ciascuno di noi personalemente.
Pilato, infatti, in realtà pone la domanda a se stesso:
"Cos'è la Verità? Se la Verità sono le leggi dell'impero allora devo condannare a morte quest uomo. Eppure lui, che mi sembra un giusto, parla di un'altra Verità, fatta di perdono, di compassione..."
In un istante crolla la trincea di false certezze dietro cui Pilato si è trincerato per una vita.
ovvero "Cos'è la Verità"?
E' la domanda che Pilato pone a Gesù Cristo durante il suo interrogatorio.
E Cristo non risponde.
Non credo ci siano nei Vangeli altre domande a cui Gesù non da risposta, Lui che è il Maestro, il punto di riferimento sapienziale dei suoi discepoli.
Innumerevoli le dissertazioni teologiche in materia... lascio qui, come un appunto, l'idea che mi sono fatto nel mio piccolo.
Nel libro "Guida galattica per autostoppisti" una civiltà marziana evolutissima costruisce un megacomputer capace di calcolare la risposta alla "domanda definitiva sul senso della vita, dell'universo e tutto quanto"; Pensiero Profondo - il megacomputer in questione - risponde così alla scienziata che lo interroga per ottenere la risposta definitiva:
Pensiero profondo: La risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto è... 42. Sì, ci ho pensato attentamente è questa, 42. Certo sarebbe stato più semplice se avessi conosciuto la domanda.
Scienziata: Ma era LA domanda, la domanda fondamentale di tutto quanto!
Pensiero profondo: Questa non è una domanda! Solo quando conoscerete la domanda comprenderete la risposta.
Scienziata: E dacci la domanda fondamentale.
Pensiero profondo: Non posso, ma c'è qualcuno che può, un computer che calcolerà la domanda fondamentale.
Perché questo originale accostamento tra letteratura fantascientifica e la Parola?
Perché allo stesso modo della civiltà marziana, Pilato formula una domanda apparentemente semplice, definita ed a suo modo immediata: eppure a quella domanda nessuno può dare una risposta risolutiva (se non 42 ;-)).
Nessuno se non ciascuno di noi personalemente.
Pilato, infatti, in realtà pone la domanda a se stesso:
"Cos'è la Verità? Se la Verità sono le leggi dell'impero allora devo condannare a morte quest uomo. Eppure lui, che mi sembra un giusto, parla di un'altra Verità, fatta di perdono, di compassione..."
In un istante crolla la trincea di false certezze dietro cui Pilato si è trincerato per una vita.
"Da quel momento Pilato cercava di liberarlo" (Gv 19,12)
Neanche noi, come Pilato, riusciremo a trovare qualcuno che risponda a questa domanda: "Quid est veritas".
Perché la risposta è da cercarsi personalmente, mettendosi in discussione, intraprendendo un cammino condiviso, o, per dirla con Pensiero Profondo, partendo alla ricerca della nuova "domanda fondamentale".
Questo è il motivo che mi spinge ad aprire questo blog: iniziare un cammino condiviso, alla ricerca della Verità.
Per questa ragione questo spazio è tanto mio quanto vostro... sono certo che lo impreziosirete.
Buon cammino a tutti
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